Quest’estate ho pensato di fare ascoltare Mezzo e Mezzo ft. Nevek, canzone contenuta in Something Left Vol. 2, in un forum tematico su Inuyasha, personaggio di un anime (e un manga!) a cui la traccia si ispira liberamente.
Solandìa, una delle utenti del forum, ha scritto dei commenti molto elaborati, con una profondità di analisi che ha colto pienamente il senso del testo. Le ho chiesto di poterli ripubblicare sul sito. Solandìa ha accettato volentieri, ha rimesso mano a quanto aveva scritto ed è nata la recensione che vi trascrivo. Buona lettura.
In questo articolo trovate il testo della canzone.
Qui trovate la canzone in preascolto in una versione quasi definitiva.
Recensione di Solandìa
8 settembre 2013
Pur non essendo un’amante del rap, ho parecchio apprezzato questa canzone, perché dedicata a quello che è il mio personaggio preferito, ovvero il mezzodemone InuYasha, creatura nata dall’unione di un’umana e di un grande demone-cane del Giappone antico.
Lungi però dal limitarsi a celebrare un eroe di carta, il testo è molto bello e valido anche fuor di metafora, per dar voce al mezzodemone che noi tutti ci portiamo dentro.
La prima cosa che mi ha colpita è stato il ritornello. Mi aspettavo infatti che fosse sempre lo stesso, invece dopo la metà della canzone le parole cambiano e la prospettiva viene completamente ribaltata: l’ho trovato un colpo di scena davvero azzeccato.
Non è facile viver da mezzo demone sapendo che darò troppe lacrime al mio prossimo e se mi abbandonerò all’oscuro, di sicuro, sarà il sangue che amerò, sarà folle tutto ciò che compirò.
Non è facile viver da mezzo umano essendo certo che trarrò troppe lacrime dal prossimo e se mi proteggerò ad ogni scrupolo, nell’incubo, sarà faida e lotterò. Sarò un folle in tutto ciò che compirò.
Ciò che più ha attirato la mia attenzione, in questi versi, è la questione “del prossimo”, che poi è ciò che più spaventa il mezzodemone. Seguire la natura demoniaca significa infliggere sofferenza a chi lo circonda, seguire quella umana significa assorbire sofferenza dagli altri. E qui c’è un ribaltamento di prospettiva, come dicevo. Eppure la conclusione ultima, in entrambi i casi, è la stessa: follia. Ovvero, quando si hanno due nature, pretendere di far prevalere una sull’altra, di far vivere una sola delle due e scordarsi della seconda, significa alla fin fine impazzire. Non c’è scampo.
La soluzione razionale potrebbe essere quella di cercare un buon equilibrio fra le due nature, ma tale equilibrio implicherebbe la convivenza con le lacrime,provocate o ricevute; implicherebbe, cioè, l’incontro / scontro / confronto col prossimo, e qui il mezzodemone va in crisi.
Non resta dunque che la scelta della solitudine? Credo che molto in tal senso dicano
le strofe.
In merito ad esse, devo dire che la differenza di mano fra le prime due (di Resho) e l’ultima (di Nevek) si sente non poco. I due autori hanno un modo sensibilmente diverso di scegliere le parole e metterle in fila, quasi attingessero a due vocabolari lievemente modificati. Non che questo sia un difetto per l’opera, anzi: concorre a rendere bene l’idea di un’anima doppia.
Le strofe redatte da Resho ruotano attorno al tema del berserk di InuYasha, tema che personalmente ho sempre ritenuto molto affascinante e che trovo ottimamente riassunto in questa frase:
Per difendere il mio corpo dovrei perdere il mio spirito, il mio animo, la mia identità. Avrei perso me stesso se vincessi.
E’ inutile dilungarsi su quanto questo concetto trascenda il personaggio e la sua duplice natura, per diventare specchio dei compromessi che la vita ci mette davanti ogni giorno. Fuor di metafora, lo “spirito” resta tale, dato che coincide sempre con il nostro “io” più autentico, mentre il “corpo” può essere letto come posizione sociale, prestigio, sicurezza economica o quant’altro. Quante volte, per difendere queste cose, il nostro volto finisce per perdere i tratti stessi della propria umanità?. . .
La seconda strofa è proprio giocata sul dilemma del mezzodemone “Mi abbandono o no al sangue demoniaco?”, “Riuscirò a farlo solo quel tanto che basta per sopravvivere e poi a tornare in me, senza firmare la mia condanna all’inferno?”. La prima, invece, racconta il suo rapporto con la battaglia e lo fa attraverso una serie di antitesi: va giù la schiera di demoni, ma anche la sua forza; lo sguardo si annebbia ma la lama lo tiene sveglio; non può andare in vetta, ma non arretra perché è testardo; i colpi vengono assestati volontariamente dal mezzodemone ma, contemporaneamente, egli prega la lama affinché non smetta di vibrare, quasi non fosse lui a maneggiarla etc. . . ).
Emblematica la frase:
Tutto ciò che mi rimane è assestare gli ultimi colpi sulle colpe che ho commesso.
Bel gioco di parole, con tutto un mondo dentro. Un mondo di travaglio interiore, si intende.
L’idea che mi lascia questa strofa è quella del combattimento vissuto insieme come condanna ed espiazione, sfogo e tortura, affermazione di se stessi (l’unico modo di esprimersi del mezzodemone?. . . ) e totale abnegazione di sé. Tematica fantastica!
La terza strofa è molto bella, anche se un pochino più criptica. La cosa interessante è che non parla della trasformazione di InuYasha in essere umano nelle notti di luna nuova (naturale antitesi al berserk delle prime due strofe), ma semplicemente del peso del lato umano che egli si porta dentro nella sua usuale forma semidemoniaca. O almeno, così a me è parso di capire.
Con uno spirito molto più hardcore del mio corpo e dei suoi parametri, schiacciato sotto gli scrupoli di un lato umano debole. Sensibile ai dolori e alle gioie, ai fallimenti, alle vittorie, alle 365 paranoie lungo l’anno.
La frase è apparentemente contraddittoria. Lo spirito è più hardcore del corpo, ma a schiacciare (Il corpo? Lo spirito? Entrambi, probabilmente.) non è la fisicità umana, ovvero la debolezza muscolare, ma sono scrupoli, gioie, dolori, lo stillicidio delle paranoie quotidiane. A schiacciarlo è il lato umano della sua anima, che pure è diventata hardcore più quel del corpo abitato anche da sangue di demone, forse proprio perché è stata temprata da tutti questi pesi che la schiacciano, ma che ancora non l’hanno abbattuta e quindi hanno avuto l’effetto di “allenarla”, rendendola forte, caparbia e difficile da far crollare definitivamente.
Io non so conviverci senza esplodere, forse è inutile dirglielo urlando. Ma so che in fondo ora lo sanno.
Perfetto quadro del personaggio, che piuttosto che condividere i suoi pesi va ad abbattere alberi a raffica e nasconde le mani che la spada gli ustiona. InuYasha non imparerà mai a confidarsi, piuttosto preferisce lasciarsi fraintendere, con la certezza che comunque, anche se non tutto, qualcosa di lui gli amici hanno capito. E per chi è sempre stato solo (e continua in fondo ad esserlo anche ora che è in compagnia), già questo è un insperato conforto.
Se soltanto lascio un minimo la presa del guinzaglio il mio mezzodemone resterà la sola anima viva sul campo.
Bella la conclusione, che è una presa di coscienza nitida del proprio valore di guerriero. Bella perché a sopravvivere solo sul campo non è il demone né l’umano, ma il mezzodemone (di cui, tra l’altro, egli stesso parla come se fosse altro da sé, cosa che smorza qualsiasi boria potesse nascondersi nell’affermazione di questa superiorità guerriera). Il mezzodemone è l’insieme delle due nature: il guinzaglio da mollare, dunque, probabilmente non è quello che consentirebbe al sangue demoniaco di prendere il controllo e fare strage, ma è quello della paura delle lacrime del prossimo indicata nei ritornelli.
Bene, credo di aver ciarlato oltre ogni misura, come mio solito! Scusate per questo fiume di parole e ancora tanti complimenti a Resho e Nevek!
Solandìa